C’è sempre più bisogno di pace nel mondo. Le ormai annose vicende belliche in Palestina e Ucraina indicano, con evidenza ogni giorno maggiore, che il cammino in questa direzione presenta profili di estrema necessità e urgenza. Ma, nei fatti, una realtà sempre più negativamente globalizzata, sembra muoversi in senso opposto. A partire dal conflitto israelo-palestinese dove persino l’esercito di Tel Aviv, dopo aver negato ogni responsabilità, ha ammesso di aver aperto il fuoco, nella striscia di Gaza, contro la popolazione civile in cerca di cibo, acqua e medicinali causando 27 morti e numerosi feriti.
Chiedersi perché sembra costituire ormai solo un esercizio retorico, privo di spessore etico e storico. Per buona misura, mercoledì sera, i rappresentanti del governo guidato con impeto schizofrenico dal biondocrinito Trump hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, nonostante il voto favorevole degli altri 14 membri. Al Palazzo di vetro come a Bruxelles, infatti, veto e voto appaiono sempre più strumenti inconciliabili. Nel frattempo l’eccidio di massa operato dai militari con la stella di David, prosegue indisturbato, con veterotestamentaria ostinazione.
Ovviamente nessuno può ragionevolmente contestare il diritto di Israele alla difesa del proprio territorio e quindi di rispondere all’efferato attacco terroristico, (con oltre 1000 morti fra civili e militari e la cattura di circa 250 ostaggi molti dei quali rilasciati vivi o morti), portato da Hamas sul territorio israeliano il 7 ottobre 2023 con la feroce “Operazione Al-Aqsa Flood”. È però, quella di Israele, una reazione smisurata che ha causato più di 150.000 fra morti e feriti tra i palestinesi, fra i quali 50mila bambini (fonte UNICEF), migliaia di donne, e più di 11.000 dispersi, oltre a centinaia di migliaia di sfollati. E la cessazione delle ostilità appare ancora oltre l’orizzonte visibile e prevedibile.
Così, mentre a Gaza si continua a morire e la parola pace sembra ormai diventata solo un flebile flatus vocis, in Ucraina, nel cuore del continente definito Europa con intento forse soltanto geografico, le cose non vanno meglio. Certo, la pace è (ovviamente) cosa buona e giusta e la guerra (altrettanto ovviamente) perfida e satanica. Su questo aspetto del problema non può esserci alcun distinguo. Ma qualcuno ha letto con occhio imparzialmente attento le condizioni ufficialmente poste dal Cremlino al governo di Kiev per avviare concrete trattative orientate alla pace? E qualcuno sa spiegare per quale ragione gli attacchi ucraini alle infrastrutture militari e civili in territorio russo siano “atti terroristici” mentre i bombardamenti quotidiani di missili, bombe e droni operati dai militari di Mosca su condomini, centrali energetiche, ospedali e centri commerciali ucraini siano sacrosante operazioni difensive perfettamente lecite? Vien quasi voglia di resuscitare evangelicamente la parabola della pagliuzza e della trave. La verità è che se “scoppiasse” una pace, almeno in parte giusta, per Putin e l’intera nomenklatura russa, (che sopravvivono grazie all’economia di guerra operante nel bel paese dove ‘l da suona), sarebbe la fine. Sotto questo profilo l’ondivaganza trumpiana e la tremula indecisione di Bruxelles aiutano il Cremlino; certamente non la pace. Tuttavia la cessazione delle ostilità è materialmente ed eticamente necessaria. Una pace, come ha detto Leone XIV, poco dopo essere stato gravato del magistero di Pietro, “disarmante e disarmata”. Non necessariamente in quest’ordine.
Purtroppo anche in questo caso, come del resto in tutto lo scacchiere mediorientale, si contrappongono realtà dalle radici etniche, storiche, economiche, politiche e “ideologiche” apparentemente inconciliabili.
È difficile, se non impossibile, sic stantibus rebus, attribuire all’una o all’altra parte, cause e responsabilità complessive di quanto sta accadendo. Certamente nel conflitto fra Russia e Ucraina è almeno possibile stabilire chi sia l’aggressore e l’aggredito. Ciò è vero in parte anche per le vicende belliche in atto nella “striscia”. È stato certamente Hamas a dare il via all’”ottobre nero”. Ed è altrettanto certamente vero che Israele non ha saputo o voluto proporzionare la rappresaglia successiva all’aggressione subita nel 2023. Tutto ciò riguarda la cronaca.
Per quanto attiene la storia le cose si complicano molto. Né è praticabile alcuna spiegazione definitiva storicamente accertabile e definitiva. Insomma, attribuire all’una o all’altra degli attori il ruolo di burattino o di burattinaio (come pure spesso avviene) è operazione complessa incerta e certamente di scarsa utilità. Ma anche spendersi per invocare a squarciagola una pace priva di contenuti e di proposte concrete e praticabili può risultare operazione sterile ed evanescente, buona solo per mettere in pace (termine ubiquo e polisemico se privo di contenuti reali) alcune coscienze.
Le diplomazie occidentali stanno muovendosi a fatica, con passo più timido che incerto, nel tentativo, per ora scarsamente produttivo, di aprire spazi agibili a un dialogo fra le parti. Pur se le ultime telefonate fra Leone XIV, Putin e l’inquilino che occupa la Casa bianca, lasciano margini a qualche, men che esile, speranza. Nel frattempo il convitato di pietra, l’incarnazione moderna del Celeste impero, che costituisce tuttora un gigantesco enigma nel panorama politico ed economico planetario, sembra rimanere alla finestra in attesa di un momento propizio per entrare in scena, sullo sfondo del moloch nucleare a più riprese minacciosamente evocato dal Cremlino. La Cina non avrà forse alcun bisogno di ricorrere alla ragione delle armi per invadere l’Occidente.
L’ha già fatto, per così dire pacificamente, in buona parte grazie alla tecnologia i cui prodotti hanno già invaso le nostre case, sui furgoni guidati dagli onnipresenti e supersfruttati corrieri Amazon. Sì, anche questo è uno dei frutti selvaggi della globalizzazione sospinta dall’acefala furia espansionistica della Tecnica, con la T maiuscola, la cui ancella, la tecnologia, è ormai diventata parte integrante della nostra e delle vite degli altri. Secondo Emanuele Severino, considerato il massimo filosofo italiano del secondo dopoguerra, proprio la Tecnica è diventata l’essenza dell’Uomo, la nostra onnipresente e insonne “anima”.
P.s. Questa accozzaglia di espressioni e concetti in forma di parole, è stata realizzata totalmente (certo non per scelta meditata e consapevole) grazie all’utilizzo di strumenti realizzati dalla tecnologia made in China.
ELIO SPADA