Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: ancora loro, come allora, scudi umani
Le loro parole, pungenti come ortiche, vengono spianate con tanti complimenti per avvalorare una logica che non c’è, e poi il furbo girotondo torna al sotterraneo intendimento…
Non è vero che i magistrati assassinati dalla ‘mala…vita’ Paolo Borsellino e Giovanni Falcone erano d’accordo sulla separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. Migliaia i documenti e le testimonianze rilasciate in tal senso. Entrambi furono servitori dello Stato fino all’ultimo respiro, nonostante la consapevolezza certa che sarebbero stati uccisi.
Entrambi volevano una giustizia giusta, che funzionasse per davvero nell’interesse dei cittadini, attraverso un potere giudiziario con un cuore solo, seppur con competenze e responsabilità specifiche per giudici e pubblici ministeri che, non dimentichiamo, sono all’unisono deputati alla ricerca della verità e alla tutela dei diritti fondamentali. L’organo giurisdizionale, se minato nell’unità corporale della giustizia, rende debole l’applicazione della legge, soprattutto nei confronti dei potenti.
La Costituzione repubblicana italiana del 1948, è la legge fondante lo Stato italiano, è il pilastro su cui si radica la nostra democrazia, quindi, ogni modifica, dovrebbe essere condivisa dalla quasi totalità dei privilegiati onorevoli che costituiscono il Parlamento e che rappresentano la voce del popolo.
Non è utile, e profondamente scorretto, distinguere i cittadini in: Noi e Loro, la nostra riforma e poi la vostra… Di che democrazia stiamo parlando?
La riforma della giustizia del Ministro Nordio invece è stata sigillata in un forziere di cui si è buttata via la chiave. All’Associazione Nazionale Magistrati il 5 marzo 2025 è stato comunicato dal Governo che la riforma non era suscettibile di alcuna modifica. Ma come si fa a tacitare i magistrati, i diretti interessati della riforma, giuristi autorevolmente qualificati per dare dritte o apportare significativi aggiustamenti? Che interesse c’è stato per arrivare a tanto? Chiudere la porta in faccia alla Magistratura è un brutto segnale in un Paese democratico…
Dalla lettura attenta della riforma si evince che lo scopo è quello di ridimensionare il ruolo del Pubblico Ministero e di sottoporlo a controllo da parte del potere esecutivo.
Per giunta è quanto meno arbitrario presentare la riforma come ‘la separazione delle carriere’ tra giudici e pubblici ministeri per far intendere ‘funzioni diverse’, perché la differenziazione delle funzioni esiste già dal 2006.
Oggi è presente un Consiglio Superiore della Magistratura, con la riforma ci sarà un doppio Consiglio Superiore della Magistratura, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, oltre all’istituzione di una terza Corte, che sovrasta le altre due. E’ evidente che in aggiunta alla complessità del sistema, con ingenti spese pubbliche aggiuntive, l’arzigogolatura messa in scena è stupefacente nella sua veste candida di legittimità per fermare l’azione penale quando cadrà sui calli di qualcuno che conta.
Quale Pubblico Ministero, o Giudice, nell’esercizio delle sue funzioni potrà agire senza paura tra i veleni, le follie e i disegni criminali del potere deviato senza essere punito? Il magistrato che oserà che fine farà?
La riforma prevede altresì il sorteggio dei magistrati facenti parte dei Consigli Superiori citati, non esiste in nessun Paese europeo tale sistema. Da rilevare che il sorteggio non è previsto in democrazia per eleggere gli organi rappresentativi: dall’Amministratore di un condominio al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, i membri di un Consiglio di Istituto scolastico o l’Ordine dei Giornalisti, il CDA di una società o i vertici di un partito…e poi oltre, su fino al Parlamento e al Presidente della Repubblica.
Questa riforma non risolve i problemi della giustizia, pone assoluzioni…ops soluzioni per i soliti ignoti. E gli altri? Faranno sempre la fine dei ratti.
Borsellino e Falcone difendevano l’indipendenza del Pubblico Ministero, non il suo asservimento al potere politico:
“Una separazione delle carriere può andare bene se resta garantita l’autonomia e l’indipendenza del pubblico ministero. Ma temo che si voglia, attraverso questa separazione, subordinare la magistratura inquirente all’esecutivo. Questo è inaccettabile” Giovanni Falcone, La Repubblica 25 gennaio 1992.
“Separare le carriere significa spezzare l’unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico” Paolo Borsellino, Samarcanda 23 maggio 1991. In una lettera privata Paolo Borsellino definisce la separazione “un cavallo di Troia per disarticolare la forza unitaria dell’azione giudiziaria”.
Chi manipola la frase di Falcone che distingueva tra “il pubblico ministero come investigatore” e “il giudice come arbitro” si dimentica di dire che l’osservazione riguardava il passaggio dal processo inquisitorio al processo accusatorio del 1989 con cui Falcone invocava una specializzazione funzionale, e parlava di competenze, non di carriere separate. Infatti la frase: “chi, come me, richiede che siano due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza” vuole dire appunto carriere differenziate, non separate, e ciò significa formazione adeguata, selezione rigorosa, professionalità mirata. Biografia di Falcone.
Va da sé che l’idea di Falcone non volesse significare due ordini giudiziari distinti così come prospettati nella riforma Nordio, peraltro una riforma costituzionale che andrà a referendum la prossima primavera.
La separazione delle carriere dei magistrati, descrive Falcone, arriva da lontano, parte dal progetto del Piano di Rinascita Democratica della Loggia P2 di Licio Gelli. In quel documento, sequestrato nel 1981, c’è scritto: “Separazione delle carriere. Sottoposizione del pubblico ministero all’esecutivo. Riforma del Consiglio Superiore della Magistratura”. Quel piano voleva controllare l’azione penale, ridurre l’autonomia della magistratura, proteggere gli interessi della politica corrotta e della criminalità organizzata.
Falcone e Borsellino, che indagavano sulle connessioni tra mafia e politica, furono il bersaglio diretto di quello scritto.
Carlo Nordio, l’attuale Ministro della Giustizia, nel 1994 da magistrato firmò contro la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, ma ultimamente, presentando la riforma, ha dichiarato di volere la separazione delle carriere fin dal 1995: Giovanni Falcone venne ucciso il 23 maggio 1992 nella strage di Capaci a causa di un’esplosione sull’autostrada A29; Paolo Borsellino venne ucciso nella strage di Via D’Amelio da un’autobomba piazzata sotto la casa della madre. Entrambi i magistrati indagavano sulle connessioni tra mafia e politica…
Separare le carriere significa isolare il pubblico ministero, assoggettarlo al Governo di qualunque colore esso sia, privarlo in fatto della titolarità dell’azione penale.
Falcone e Borsellino, tirati in ballo per dare autorevolezza alla riforma, difendevano invece una magistratura unitaria, indipendente, coesa, in netto contrasto con chi vuole rovesciare la Costituzione del 1948, scritta da chi ha perso la vita per la libertà.
Una magistratura forte coi deboli e debole coi forti? Domandiamocelo, e rispondiamo di conseguenza.
MARIA FRANCESCA MAGNI

