…voglio giocare a palle di neve in agosto, voglio scoprire se i gracchi dal becco giallo sono spie dei servizi segreti, voglio cogliere le stelle alpine…
I turisti delle nostre montagne vogliono trovare di tutto e di più nei boschi, tra le rocce, perfino una vasca da bagno lassù, dove il cielo è più blu, piena d’acqua e profumi al calduccio dentro al rifugio Brioschi: sarebbe scontata dopo la fatica per raggiungerlo sui ghiaioni che hanno reso l’alluce un peperoncino.
Peccato che l’acqua non c’è in cima alla Grigna, o meglio è talmente scarsa che deve essere centellinata, e il capanat deve fare refe e pezze per preparare la pastasciutta…
Il turismo è un modo di vivere la montagna che non ha niente a che vedere con chi la vive tutto l’anno. Il turista cerca la cartolina e i confort cittadini, ma la montagna non è solamente aria pulita, silenzio, panorami mozzafiato, e…disneyland per tanti.
La montagna è anche un luogo dove piccole comunità si alzano prima dell’alba per recarsi a centinaia di chilometri di distanza per lavorare.
Alcuni ce la fanno: prevalentemente anziani, molti: i giovani, se ne vanno, abbandonano la montagna e rifiutano di rivalutare i pascoli e di creare imprenditoria montana ritornando a fare i mestieri degli avi, per lo più contadini e pastori.
Da considerare inoltre che i terreni nella nostra Comunità Montana sono pochi e ripidi per gestire un’attività organizzata. Fino agli anni sessanta ogni famiglia aveva una mucca, un vitello e un asino, oltre al pollame, per questo i terreni nei pressi dei paeselli bastavano seppur a malapena per tutti i montanari, e il sistema si basava su un’economia a circuito familiare chiuso: si andava in fiera per scambiare la farina di granturco col formaggio e ‘Fiacca’ girava per i borghi col suo carretto carico di stoffe che scambiava con qualche coniglio…
Stamattina di buonora sono andata all’Alpe. In realtà l’Alpe di Esino Lario (sotto) e l’Alpe di Lierna (sopra) sono come il tuorlo e l’albume di un uovo perché condividono lo stesso spazio incastonato alle pendici del Monte Croce.
L’Alpe è abbandonata. E’ diventata il regno dei cinghiali.
Un tempo si sentivano i campanacci delle mucche fin da Ontragno, adesso è silente. L’ultimo pastore si chiamava Angelo e veniva dalla Valtellina, non ha più rinnovato il contratto dell’alpeggio perché troppo costoso. Angelo parlava di 5 o 6mila euro per 3 mesi circa di monticatura del bestiame. Un’esagerazione, oltre alla pulizia del bosco ai margini dell’alpeggio…
Ho intravisto qualche villeggiante chino tra le grosse radici dei faggi alla ricerca di qualcosa di semplice e buono come un fungo…eccolo il capelot, col suo cappello che sembra un piatto in mezzo al prato!
All’Alpe di sopra c’è una chiesuola costruita dagli Alpini nel 2009, attorno ci sono distese vastissime di erba d’alpe, erba unica dal profumo di liquirizia, devastate.
All’Alpe di sotto c’è una croce sotto a un tremei con le fronde ricoperte di bacche arancioni immerso nel prato con la cotica distrutta, solo pochi anni fa sembrava un manto di velluto dalle mille sfumature di verde.
I grossi denti all’insù dei cinghiali hanno messo sotto sopra l’intero alpeggio.
Il territorio è fragile, l’ecosistema è sempre in bilico, ogni disturbo o incuria può rompere l’equilibrio instabile che lo caratterizza.
La montagna è di tutti, si sente dire, ma sarebbe bene dire: la montagna è di se stessa. La montagna non è una stuoia riccamente intrecciata su cui metterci i piedi per capriccio e poi via, ma è protagonista di vita e dovrebbe sedere al tavolo delle governance che la riguardano.
E’ fonte di vita, gli animali selvatici occupano il territorio alla nostra stessa stregua: siamo arrivati a conoscere le montagne inseguendo i caprioli per nutrirci e gli orsi per ricavare pelli calde per combattere il freddo…però rispettavamo la montagna, salivamo e scendevamo prendendo solo quello che ci serviva, umili, davanti a quelle immense cattedrali della natura. Oggi invece con le infradito o gli scarponi dell’ultima moda arriviamo in cima alla montagna per depredarla.
Non siamo solo noi a voler amare la montagna o ad avere la prerogativa di viverla.
Conosciamo i domini collettivi?
I domini collettivi sono proprietà private collettive, rappresentano una forma terza di possesso. Costituiscono l’avanguardia del pensiero montano: si prendono cura di chi vive in montagna, ma anche del cittadino che raggiunge la montagna per brevi periodi dell’anno; promuovono lo sviluppo di cultura, la solidarietà tra le genti dei borghi, incrementano i servizi per i residenti e i turisti con accortezza, avvedutezza, cautela; tutelano il patrimonio naturale locale: terre, acque e risorse naturali. Non dimenticano che il comparto turistico offre opportunità di lavoro ai giovani dei paesi di montagna e che può essere una delle occasioni per indurre i ragazzi a fermarsi nelle nostre valli.
In attuazione degli articoli: 2, 9, 42 secondo comma, 43, della Costituzione italiana, la legge n. 168 del 13/12/2017 riconosce i domini collettivi come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie. “La Costituzione” sosteneva Gustavo Zagrebelsky nei suoi libri diligentemente studiati “diventa davvero tale se si incarna nella storia viva di una comunità e diventa parte costitutiva della sua cultura, cessa di essere un pezzo di carte e diventa elemento essenziale di continuità, fattore di riconoscimento tra generazioni, base e condizione di crescita civile”.
“Quando IO uso una parola questa significa esattamente quello che decido IO…nè più né meno…” spiega l’uovo antropomorfo Humpy Dumpy ad Alice. “Bisogna vedere” ribatte Alice “se lei PUO’ dare tanti significati diversi alle parole”…”Bisogna vedere” ribecca Humpy Dumpy “chi è che COMANDA…è TUTTO QUA” .
I domini collettivi, pur essendo un’istituzione antica e riconosciuta dalla legge anche in epoca contemporanea, sono misconosciuti dalle persone perché intrappolati in questa logica di potere.
MARIA FRANCESCA MAGNI






