Avevamo interrotto il nostro viaggio nella Valsassina del Cinquecento, nel passo in cui il testo “storico” di Paride della Torre, (“Cronaca dei Torriani e Descritione della Valsassina”) inizia a descriverela terra di Introbio.
A questo proposito è opportuno sottolineare come la dinastia Torriana abbia svolto un ruolo non secondario per molti secoli (ne daremo più oltre motivata conferma) nelle gerarchie nobiliari, militari e amministrative dei territori del Ducato di Milano, sotto la cui giurisdizione politica, militare e amministrativa si trovava l’intera Valsassina, come ci ricorda il nostro autore descrivendone i monti, in riferimento alla “colmine, qual confina con Talleggio, terra sottoposta al dominio di Milano”.
Il testo, annotato da Giuseppe Arrigoni, dedica anche alcune pagine al bacino del “torrente Trozza qual a confinanti campi, per il grande impeto del suo discendere gran danno mena”. Nasce la Troggia, spiega Paride Torriano, “da un luogo sopra li alti monti di Sasso et si chiama il lago della Ferrera [oggi lago di Sasso n.d.r] per alcune bucche di dove si cava la vena dal ferro così detto”. Gli alpeggi di Abbio e Biandino vengono definiti “fertilissmi monti (…) fecondi d’herbazzi et pascoli” dove come accade ancor’oggi, gli alpeggi si caricano con “diverse sorti d’armenti et greggi come saria cavalli, mulli, asini, buovi, vacche, porci, pecore et capre la dove in gran quantità di buoni formaggi, bottiro, mascharpi, vitteli, capretti et agnelli si ritrovano.” Ciò accade anche in altri luoghi quali “il monte di Camisolo et Foppabona (…) Agoredo, Agrella, Dolcigo, et Umbrega, da vento Varone, Artino, Lareggio, et Barconcelli”. Come si vede in cinque secoli poco è cambiato visto che Biandino, Abbio, Camisolo e altri monti vengono tuttora “caricati” di armenti per il periodo estivo.
Non poteva mancare, in questo “dipinto” dalle suggestioni naïf, qualche pennellata per ritrarre la cascata della Troggia la quale nasce quando il torrente arriva “a un alto precipitio, dal qual tanto strabocchevolmente vi dirocca, che al basso giungendo nè fiume più nè acque veder si pole”. Il cronista non omette poi di ricordare che “poco longi dalla gran caduta” il torrente fa muovere “una gran ruota d’un forno da ferro fabricato negli anni passati dal nobile M. Luigi Arrigone”. Fino a qualche decennio fa sul posto erano ancora attive alcune officine nelle quali si lavoravano ferro e altri metalli.
Il viaggio di Paride prosegue toccando “la bella terra di Vimogno” e un’altra località “detta Barcone” dove si erge una “pulita chiesa dedicata alla Madre di Gratie Vergine Maria.”
Ed eccoci alla terra d’origine e “feudo” dei Torriani dove “una bastia si vede la qual era già propugnacolo et difensione alla fortificazione del castello di Primaluna”. Paride descrive il territorio natìo con comprensibile dovizia di particolari non tralasciando neppure cenni sul clima e sull’orografia informando che “giace il predetto luogho di Primaluna nel mezzo del contado di Valsassina, verso il meriggio; ha in faccia il Monte Grigna et dopo le spalle un altro monte detto Olino”. Il clima invernale non è mite poiché il sole si nasconde “così presto, che all’invernata quando riscaldar il freddo paese dovria si nasconde quasi prima delle ventunhora.”
Ci concediamo qui una digressione a proposito dell’origine del toponimo e del suo simbolo araldico: una torre bianca in campo azzurro sormontata da una falce di luna e da una corona. Troviamo le notizie che ci interessano nella già citata opera di Giuseppe Arrigoni il quale spiega che uno dei nobili Torriani, Martino, partì per la Terrasanta nella primavera del 1147 con la II crociata, indetta da Eugenio III, 167° Papa. Martino non ebbe fortuna e durante l’assedio di Damasco, nonostante “mirabili prove di valore e di fortezza” cadde nelle mani dei Saraceni e, piuttosto che convertirsi alla fede islamica “preferì la morte”.
La tradizione narra, però, una storia diversa e spiega che Martino fu il primo crociato a “togliere ai Saraceni l’insegna della mezzaluna, e che, ritornato in patria, ponesse alla terra che abitava il nome di Prima Luna, come oggi pure si chiama”.
Poche pagine più avanti Paride Torriano si avventura alla ricerca dell’origine del potere feudale della sua casata e ne trova sostegno in Bernardino Corio e nella sua “Storia di Milano”. Afferma Paride, sulla scorta del Corio, che il potere dei Della Torre venne fondato dal vescovo di Milano, Ambrogio, il quale nel 333 “aveva istituito un capitano per ogni porta della detta città, quali erano sei, et nella Nova [l’odierna Porta Nuova n.d.r.] faceva li Torriani alle quali diede Valsassina in feudo di contado”.
Il presidio di Porta Nuova affidato ai Torriani, indipendentemente dall’esattezza cronologica, chiarisce anche l’origine dell’appellativo “Cattanei” legato ai Della Torre, appellativo che deriverebbe dal ruolo militare di capitano o “capitaneo”. Se non si attribuisce particolare precisione alla cronologia usata dal Torriano, il senso delle sue indicazioni può comunque trovare conferma in documenti relativi al cosiddetto “capitaneato” cui fa riferimento, ad esempio, il cronista milanese Galvano Fiamma (1283-1344) il quale, nel “Chronicon maius” riferisce che la carica capitanea esisteva già all’inizio del XI secolo. E ai “capitanei” era affidata la sorveglianzza delle porte della città. Lo stesso Fiamma, afferma che i Torriani erano stati incaricati di presidiare Porta Nuova “facendo risalire la loro nomina nientedimeno che al periodo della lotta di Ambrogio contro gli ariani”. (E. Salvatori: I presunti «capitanei delle porte» di Milano e la vocazione cittadina di un ceto. A stampa in la vassallità maggiore nel regno italico: l’ordo feudale dei capitanei (secoli XI-XII) Atti del convegno, Verona, 4-6 novembre 1999). Il testo integrale può essere reperito qui: http://www.rmoa.unina.it/1551/1/RM-Salvatori-Capitanei.pdf
Va detto, per correttezza storica, che l’origine dell’attribuzione della carica capitanea all’epoca del vescovo Ambrogio, è ben esposta al dubbio anche, ma non solo, sulla scorta dei rilievi dello storico Giorgio Giulini (1714-1780) a detta del quale molti sono intenti a “favoleggiare, e compor falsi ad imitazione del Morigia, del Fiamma e di parecchi altri, i quali volendo a qualsiasi costo illustrare i primi secoli della loro patria, inventarono le più strane cose”. Secondo Giulini è dunque da “tenersi per falso tutto quanto affermano quegli storici che non provano con documenti le loro narrazioni.”
Il nome Torriani o Della Torre, riferisce Paride Cattaneo, deriverebbe proprio dalla triplice cinta di mura che circondavano Primaluna, dominate da una torre: “fu distrutta detta torre al tempo delle parti dei Guelfi et Giubellini, poi di novo fu riedificata, ma non compita.” Tracce di queste fortificazioni si trovano tuttora nella parte alta dell’abitato. Nella sua “Descritione” Paride si dilunga poi in una encomiastica ricostruzione genealogica riguardante la famiglia dei Torriani che ci si consenta di non riassumere ma solo di accennarne ricordando che la potenza della stirpe Cattanea si estendeva a “Lecco, Mandello, a Varenna, a Belano (…) tutto cinto di mura con sette porte et un superbo molo, a Dervio” per un totale di 54 comuni, come spiega l’Arrigoni.
Le fatiche di Paride Della Torre, si snodano infine da Parlasco a Taceno, a Casargo per inoltrarsi fra Premana, la Muggiasca, Cortenova, Esino e la “gran valle del Varone, detta così dal gran fiume così detto” il quale “ha esito appresso la terra di Derfo là dove egli va a scaricarsi”. Il “saggio” si conclude poco oltre, quando a Paride sembra di “aver detto assai de gloriosi fatti di Valsassina.”
(fine)
ELIO SPADA