Due mamme semplici, senza trucco o bei vestiti, una palestinese e una israeliana, hanno parlato di pace al Meeting di Rimini
“Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi” è il titolo del Meeting di Rimini 2025 organizzato da Comunione e Liberazione che ha permesso l’incontro di due madri: Layla al-Sheik musulmana di Betlemme e Elana Kaminka israeliana. Mamme col cuore gonfio di pianto per la perdita dei loro figli nella guerra mostruosa israeliani-palestinesi che perdura dalla fine della seconda guerra mondiale. Due donne che hanno saputo parlare di pace e di speranza senza discorsoni preparati o frasi fatte.
Madri unite in un cammino di riconciliazione, madri che hanno scelto, come ha ricordato Bernhard Scholz, la strada del dialogo senza chiudersi nel rancore e nell’odio.
“Yannai” ha affermato Elana Kaminka durante il convegno “era mio figlio ma è stato per me anche un insegnante, non aveva ancora 21 anni quando ce lo hanno portato via, ma era un grande pensatore, si interrogava su cosa vuol dire essere un leader: il primo valore per lui era amare le persone che gli erano affidate e il secondo valore chiave era la responsabilità…La disumanizzazione è uno dei pericoli più grandi…E’ possibile vivere fianco a fianco coi palestinesi, lavorare con loro. Ci sono tante minacce alla democrazia, ma per fortuna possiamo ancora esprimerci liberamente in Israele e cerco di farlo il più possibile…Per quello che sta succedendo sono preoccupata e terrorizzata quando vedo i media e vedo tutta la propaganda che viene fatta per le giovani generazioni, ma la cosa importante da ricordare è che gli estremisti fanno sempre un gran fracasso sia nei media che sulla stampa.
Per noi è molto difficile perché a noi non piace alzare la voce…ma se non parliamo gli unici che verranno ascoltati e sentiti saranno gli estremisti, soprattutto giovani”. Yannai era un soldato, ucciso il 7 ottobre 2023.
Layla al Scheik: “dopo 16 anni dalla morte di mio figlio, una amica mi ha introdotto nel Parent Circle, un’associazione che vede partecipi persone israeliane e musulmane…Ho visto qualcosa di incredibile, ho visto palestinesi e israeliani parlare insieme, dialogare, ridere…era la prima volta nella mia vita che assistevo a una scena del genere…ho sentito gli israeliani parlare di come avevano perso i loro cari, i loro figli…era la prima volta che ho provato profondamente il senso di condivisione delle stesse lacrime, della stessa sofferenza, perché siamo tutti umani e non c’è niente di peggio nel perdere un proprio figlio…”.
Cosa significa allora ciò che sostengono i potenti che si deve fare la guerra per garantirsi una pace futura?
C’è qualche ragionamento che sfugge alla gente comune?
Sarebbe bene non gettare sabbia negli occhi alla gente con sorrisi ammiccanti e belle parole…
Intanto le persone muoiono a migliaia, soldati e civili, lì, sui piedi del potere protetti da scarponi con la punta di ferro che lasciano l’impronta della suola ‘carroarmato’ su una terra tohu va-vohu: vuota, deserta e desolata, priva di vita.
Pereq ha-shalom o Capitolo della Pace incluso nel trattato del Talmud Babilonese, il Derekh eretz zutà si legge: “grande è la pace perché essa è per la terra come il lievito per la pasta; se il Signore benedetto non avesse creato e donato la pace alla terra, la spada e la belva avrebbero privato la terra dell’uomo”.
Quindi Shalom significa pace in senso universale, è uno status di equilibrio tra la terra e l’uomo, tra natura e umanità, tra la verità e la giustizia dei popoli, tra la materia e l’anima.