Dumping fiscale, la teoria della Scienza delle Finanze che di tanto in tanto compare e scompare
Dumping, dall’inglese to dump, significa scaricare. E’ curioso che il gioco dello scarica barile risalga alle primitive società di scambio…organizzate.
Il dumping può essere studiato sotto due aspetti principali in economia: il primo riguarda una politica economica commerciale che permette di vendere un prodotto o servizio su un mercato estero a un prezzo di vendita inferiore rispetto al prezzo praticato nel Paese in cui si produce, al fine di guadagnarsi un nuovo mercato. La seconda interpretazione riguarda il fisco, e cioè il ribasso delle imposte, in particolare l’Irpef, e in generale l’abbassamento della pressione fiscale, per attrarre i ricchi del mondo a portare i loro soldi nelle banche nazionali e a invogliare gli investitori stranieri a investire nello Stato definito: Paradiso? Sicuro? Credibile? Stabile?, comunque lo si voglia chiamare.
A ciò si aggiunge il dumping sociale, ossia la bassa tutela legislativa della manodopera che permette il ribasso dei costi di produzione per le imprese, predatorie? E ultimamente è entrato in scena il dumping ambientale: produrre o esportare in Paesi in assenza di leggi, o con regole marginali, in materia ambientale.
Di per sé il dumping può essere considerato uno strumento per tentare di promuovere la libera iniziativa economica latente e incrementare il prodotto interno lordo e, forse, per aumentare le entrate fiscali delle imposte dirette, seppur con ‘tassa piatta’ applicata sul reddito dei capitalisti esteri con residenza, e per puntare a un maggior gettito fiscale delle imposte indirette dovuto ai consumi sul territorio dello Stato dei ‘ricconi stranieri’ che possiamo chiamare migranti da immigrazione legale.
Attenzione però, il troppo storpia come in tutte le cose. Esagerare col dumping è rischioso per la concorrenza interna e per l’imprenditoria indigena che viene penalizzata, e può diventare un’arma micidiale per frenare la ridistribuzione della ricchezza prodotta tra tutti i soggetti economici, a partire da chi ha permesso la realizzazione del bene o del servizio col proprio lavoro manuale e intellettuale, e di tutti coloro che in ogni campo hanno contribuito a far crescere le aziende, il benessere e il progresso nel rispetto delle leggi.
Inoltre pensare di incrementare il flusso economico col dumping, e cioè con una tassazione agevolata per i contribuenti facoltosi: flat tax, ruling, sovvenzioni, incentivi, condizioni più favorevoli per le multinazionali…provoca competizioni sgranate dall’efficienza reale produttiva, quindi crea fantasie di prosperità e disequilibrio economico.
La disciplina antidumping in ambito UE non c’è più, originariamente era prevista nell’art. 91 del Trattato di Roma, ma si è conclusa con l’integrazione comunitaria il 31 dicembre 1969 con l’istituzione del ‘mercato comune’ che dovrebbe escludere automaticamente, almeno in teoria, il dumping attraverso la tutela della libera concorrenza. Tuttavia sono diversi i Paesi dell’UE che praticano il dumping, ogni Stato ne è a conoscenza, ma ognuno volta il capo. Perché sarà utile fingere furbescamente di fare l’ignorante?
I dati europei esprimono grande preoccupazione riguardo al dumping: perse entrate fiscali in questi ultimi 20anni fino a 70miliardi all’anno, risorse sottratte alla sanità, ai servizi pubblici, alle pensioni…
L’OCSE ha promosso l’accordo internazionale Pillar Two che prevede l’introduzione di una tassa minima globale al 15% per le imprese con fatturato superiore a 750milioni di euro. L’Unione Europea ha recepito la direttiva, con l’obiettivo di uniformare le norme tra gli Stati membri ed evitare guerre fiscali interne insostenibili.
MARIA FRANCESCA MAGNI